Wonderful World
Chiesa dei Bigi
Grosseto

Armando Orfeo, con l'opera Wonderful World, ha vinto l'edizione 2014 della mostra Città Visibile (sezione Dipinti) di Grosseto.
Quasi un paradosso: una visione soggettiva e fantastica, un paesaggio onirico, è stata selezionata e premiata in una mostra che vuole esibire una realtà visibile e oggettiva, anche se marginale e anticonvenzionale.
D'altro canto il paesaggio – secondo la definizione della Convenzione Europea – non coincide con la realtà fisica o ambientale, ma con la percezione culturale che ne abbiamo. Ad esempio è probabile che due persone, guardando lo stesso luogo (la stessa identica porzione di spazio), vedano paesaggi diversi perché si formano una “rappresentazione visiva”, un'immagine del paesaggio – noi percepiamo per immagini, direbbe Arnheim – personale e soggettiva, anche se mediata dal linguaggio culturale che ci ha formato ed educato.
Ecco, il paesaggio, per Orfeo, è un iper-mondo immaginario.
E' un luogo surreale, magico e positivo. Un mondo meraviglioso.
La porzione di spazio che vede Orfeo trascende la realtà, l'ordinario e la consuetudine, perché è scoperta da occhi meravigliati.
La Città Visibile, quindi, mette a disposizione i suggestivi spazi della Chiesa dei Bigi per una mostra che vuole guardare oltre la realtà e stimolare i grossetani a sviluppare sguardi meravigliati. Sguardi capaci di cogliere le figure che abitano i luoghi irreali e suggestivi dell’inconscio, e che si inseriscono in un filone fantastico che dalla fine degli anni Settanta ha raccolto un rilevante consenso nella nostra provincia, creando una alternativa efficace al diffondersi del naturalismo di matrice ottocentesca e del realismo di stampo ideologico. Esaltata dal riflusso postmoderno degli anni Ottanta, quest’arte affascina ancora oggi il pubblico con le sue proposte di evasione dalle contingenze del quotidiano, e ci ricorda che la creatività può svilupparsi anche in dimensioni senza tempo di poesia e disimpegno.
Dimensioni di mondi meravigliosi.

Mauro Papa

Altri Cieli
Palazzo D' Elci
Siena

È la fine del Quattrocento quando un anonimo pittore, forse Piero della Francesca forse il Laurana, realizza vedute di città ideali: cieli tesi, architetture rigorose, prospettiva impeccabile tanto che l'occhio, impreparato alla perfezione, non può smetter di guardare.
Quei paesaggi tra realtà e fantasia sono un punto di partenza imprescindibile per comprendere le opere di Armando Orfeo, che aggiunge l'elemento umano. Gli omini di Orfeo, in completo giacca e cravatta corrono -chissà dove corrono?- e si può intuire cosa hanno attraversato: superate le città ideali, con un balzo si sono tuffati nelle architetture futuriste immaginate dal giovane Sant'Elia, sono passati tra il frastuono dei dipinti surrealisti di Mirò e Dalì per riposarsi nel silenzio metafisico di Giorgio De Chirico, all'ombra delle bifore di Piazza Italia.
Di questo avventuroso viaggio attraverso la Storia dell'Arte rimangono riferimenti e atmosfere abilmente interpretati dall'artista, che immagina il suo mondo al di là delle nuvole, in altri cieli, appunto. (…)

Claudia Gennari

Gingles
Mercurio Arte contemporanea
Viareggio

Che cosa c’è di affascinante nella semplice prosa di Mario Soldati o Dino Buzzati? C’è che la storia è autentica anche se apparentemente inverosimile, o forse l’esatto contrario. C’è il desiderio di raccontare, come in genere si dice nelle favole, la vera storia di… E tutto diventa un’invenzione fantastica, dentro la quale si ricompone la realtà.
Una spontaneità narrativa che può cominciare quando il nostro pensiero, distraendosi, evade dalla razionalità, portando con sé solo qualche particolare, forse un oggetto, che subito si trasforma in qualcosa di uguale ma completamente diverso perché simbolico.
Situazioni parallele in cui un ambiente familiare, o una banale coincidenza, danno vita a innocenti paure nascoste nelle nostre certezze.
Con la stessa affascinante semplicità, Armando Orfeo dipinge il surreale universo del Signor Cozza. Alter ego di un immaginario Mr. Ark che abita il mondo reale, Cozza ne veste gli abiti, ne condivide le incertezze, indagando continuamente la ragione delle cose. Sperduto in un mare di indizi privi di significato, proprio lui, con quel suo nome da mollusco, è il piccolo eroe positivo che affronta quella continua ricerca, senza la quale non può esserci né fantasia né ragione.
L’opera di Orfeo è quindi un bel racconto, mascherato di semplicità infantile, che attrae lo spettatore a seguirlo in un labirinto di rimandi, voci e riflessi, lungo le sue interminabili prospettive. Non è una pittura che riceve attenzione, ma che la cattura, permettendo generosamente di immergersi in un ‘tempo nostro’ lontano dal reale. Sono immagini che varrebbe la pena di incontrare per caso, durante la nostra giornata, per esempio nelle sale di una stazione mentre, come al solito, aspettiamo un treno. La nostra fantasia, allora, prenderebbe binari propri: il treno diventerebbe piccolo piccolo e per un momento il viaggio solo una sensazione ignota.
Questa mostra, in un certo senso, è il passo intermedio verso questa condizione ideale di fruizione. Lavori destinati al settore pubblicitario che, come spiega lo stesso artista, impongono al Signor Cozza un’obbligata serenità, una vacanza dal proprio smarrimento.

Marco Del Monte

L'apprendista viaggiatore
Galleria Studio 7
Rieti



Sembrano sempre sul punto di partire o appena tornati da chissà quale fantastica
esperienza i personaggi di Armando Orfeo. Dove vadano e da dove vengano non ci è dato sapere ma solo immaginare entrando – e qui l’abilità dell’artista necessita della complicità dell’osservatore – nello spazio magico delle sue tele. Qualunque sia il mezzo – un libro, la musica, la scia di una cometa – l’importante è accettare un passaggio, perché il viaggiare per Orfeo non è una questione di movimento, bensì una predisposizione dell’anima. Non importa dove siamo e cosa stiamo facendo: a volte basta saper sognare – anche ad occhi aperti – o aver voglia di desiderare e coraggio per cambiare e per sperimentare…ed eccoci partiti.
Il suo viaggio, ad esempio, a bordo di pennelli e colori, si compie in ogni sua singola tela; qui trova forma narrativa un mondo infinito che di volta in volta esplora e racconta, riportando sempre storie entusiasmanti e pronto a ripartire per nuove, avvincenti avventure. Un artista, l’Orfeo, che si sente un autentico apprendista viaggiatore e che considera l’apprendistato un’interessante condizione esistenziale alimentata da una costante curiosità, dalla voglia di imparare e di scoprire e da una ferma ricerca di miglioramento e di arricchimento interiore. (…)

Barbara PAVAN

Orfeo: la nostalgia del presente
Wonderful World
Grosseto

La pittura onirica di Armando Orfeo è contrappuntata da segni e simboli all’interno dei quali è chiamato a districarsi l’osservatore coinvolto in un percorso labirintico di grande impatto visivo ed emozionale.
A guidarci è un autobiografico omino vestito di rosso che, nel segno dell’incomunicabilità, tenta di evadere da città metropolitane costituite da infinite torri di Babele all’interno delle quali è carcerato. Un’evasione per ritrovare il suo mare di Maremma, i pini mediterranei, i cipressi e le colline toscane umanizzate del lavoro secolare dei suoi conterranei.
Ma quello di Orfeo è anche un viaggio della memoria, un trovarobato negli angoli più nascosti della sua psiche dove si affastellano i ricordi dai quali emergono aeroplanini di carta, penne stilografiche e clessidre d’antan, un mappamondo, i libri e le squadre quali reminiscenze scolastiche, il cubo di Rubik. Ma anche orologi le cui lancette esorbitano, come in un surrealismo magico caro a Dalì, quasi a voler cancellare il passaggio del tempo, fermando l’attimo, esorcizzandolo.
Oppure ripercorre quelle scale infinite, quelle illusioni ottiche del fantastico mondo impossibile di Escher dove il tempo comunque è circolare e non v’è via di scampo o di fuga.
Nel suo fantastico viaggio l’artista è guidato dalla nostalgia; accetta l’oggi ma vorrebbe che rimanesse ancorato ai valori e agli oggetti del passato come dimostra inequivocabilmente un pino che ha come frutti tanti tablet anziché le naturali pigne o l’uomo che, comodo su di una poltrona adagiata sulla chioma di un albero, legge tranquillamente il suo libro.
L’omino squarcia il grigiore della metropoli non solo con il rosso della sua presenza ma anche con la forza illuminante dell’utopia; scenari metafisici ci propongono un suggestivo mèlange di scorci urbani con sfondi marini, paesaggi solari e incubi notturni, un rovello esistenziale magistralmente rappresentato dall’artista.
Questo scontro fra razionalità e irrazionalità, realtà e immaginazione, quotidianità e utopia, sembrerebbe irrisolto se l’artista non avesse mancato di ricondurci ad una soluzione finale racchiusa all’interno di opere circolari bordate di immagini che compendiano le dicotomie ripetute un po’ in tutte le opere: la convivenza di due anime contrapposte all’interno dello stesso disegno autoriale.
E mirabilmente, nel cuore di questi suoi lavori, Orfeo inserisce una centralità informale che metaforicamente può essere considerata il punto di arrivo o quello di partenza da cui ha origine il tutto.

Filippo Lotti

Modernismi, fra mito e ironia
Galleria Miraldo Rossi
Grosseto

La storia dell’arte ci ha insegnato a concedere fiducia a tutti gli -ismi, indicatori di inventiva. Essi aiutano a mettere ordine nel campo sfuggente della creatività e la ragione può così classificare sovrapposizioni di significati tanto che, di solito, si utilizza un -ismo alla volta.
Armando Orfeo lacera la realtà permettendoci di osservare in maniera furtiva, cosa si nasconde oltre. I modernismi (plurale) testimoniano come mondi onirici (molto plurale) esistono, sono presenti, occorre esclusivamente pensarli.
Ecco che la tela diventa luogo neanche troppo figurato ove esprimere idee nuove, contemporanee, nate dalla mente del singolo ma che si modellano sulle aspirazioni dei tanti.
L’artista accompagna l’osservatore, cosciente che ciò che presenta è semplice e giocoso solo all’apparenza: si attraversano paesaggi ambigui, dove notte e giorno convivono, dove cieli inscatolati si intrecciano. Decine di scalini ci portano a una apertura senza piano, cieli sfiorati da altissimi palazzi sono solcati da aeroplani di carta e il vento è così forte che piega persino le architetture, talvolta le accartoccia.
Lo specchio è obsoleto e la punta stilografica è ormai riposta nel calamaio, per vedere la nostra immagine e per raccontare di sé serve un tablet anzi, ne servono molti che, auspicabilmente, possano darci sempre la stessa risposta.
La musica ha un ruolo fondamentale e il dato uditivo è tradotto in linguaggio pittorico: le note del pianoforte sono pulviscolo luminescente che sale alto dalla coda dello strumento appena sfiorato; le corde del violoncello sono invece più dure tanto da far immaginare un solo sibilo, netto, che accompagna i rimbalzi delle sfere sulla sfilata infinita di tasti bianchi e neri che taglia l’orizzonte. Quando sembra di aver distinto ogni suono, il rumore delle sirene di tre grandi navi copre tutto, e torna il silenzio.
L’ironia è l’annuncio di una armonia possibile, direbbe Calvino. Oppure, l’ironia è il motore che riaccende ogni volta questo stupendo gioco di immaginazione condivisa, rendendo palese una realtà fatta di colori accesi, contraddizioni e discordanze.

Claudia Gennari

50 pittori per 50 cantanti toscani
Palagio di parte Guelfa
Firenze


Un cosmo (in) felicemente esploso quello raffigurato da Armando Orfeo nei suoi dipinti. Lo sguardo coglie con inquadrature che sembrano mutate dalla tecnica cinematografica, personaggi solitari, circondati da oggetti o complementi di arredo a volte ingranditi e vaganti. Le stanze si aprono come scenografie in bilico tra le quinte di un teatro e l’uomo vi appare sempre di passaggio, ospite temporaneo di questi spazi sormontati da palazzi obliqui e archi vuoti. Tra i colori vividi dell’acrilico, la solitudine lascia, però, sempre spazio al sogno, in certi casi all’epifania critica della nostra epoca. Un comics designer prestato all’arte, o meglio dato in uso perpetuo alla pittura.(…)

Da “50 pittori toscani per 50 cantanti toscani” 2010
Nicola NUTI